L’apoteosi di Paolo Caliari, detto il Veronese (1528-1588) si può ammirare in tutto il suo slendore nella chiesa di S. Sebastiano. In questa chiesa il grande pittore lavorò in più fasi: nel 1555 per la Sacrestia con “l’Incoronazione della Madonna ” contornata dai ritratti dei quattro evangelisti; nel 1558 gli affreschi della navata centrale a soggetto agiografico per le parti centrali, contornate da Arcieri, la Sibilla, i Padri derlla Chiesa, gli Apostoli e affreschi -per quanto ne rimane – del Presbiterio;
Nel 1559 la Pala d’altare Madonna, S. Sebastiano e altri Santi, nel 1559-60 per le portelle d’organo, nel 1565 per le pareti laterali della tribuna , ancora di soggetto agiografico e martirologico.
Ma, tornando indietro nel tempo, uno dei capolavori più grandi il soffitto, per il quale il maestro ricevette un compenso di 240 ducati. Ultimato nel 1556 il lavoro si articola in tre tele di grosse dimensioni rappresentanti le storie di Ester: Ester condotta ad Assuero, Ester incoronata regina da ASssuero, al centro, quindi il trionfo di Mardocheo.
Secono la Bibbia Mardocheo , tutore di Ester, ricevette da re di Persia Assuero un vestito ed un cavallo in segno di ribilitazione. Nel quadro del Veronese i cavalli diventano due, uno bianco ed uno nero, entrambi scalpitanti in due direzioni divergenti; il Veronese si rifà infatti al mito platonico dell’Auriga e dei due cavaalli che trascinano il carro dell’anima verso la bellezza:” l’uno dei cavalli, dicemmo, è nobile e l’altro no “, recita Fedro (…..) ora l’uno, e cioè quello in migliore forma, è di figura diritta e snella, ha la cervice alta , le froge regali, il mantello bianco e gli occhi neri, ama la gloria temperata e pudica, ed è amico dell’opinione verace; lo si guida senza frusta, solo con l’incitamento e la ragione.
Ma l’altro corsierto ha una struttura contorta e massiccia, messa insieme non si sa come, ha forte cervice e collo tozzo, froge vili, mantello nero ed occhi chiari e sanguigni, compagno di insolenza e di vanità, peloso fino alle orecchie, sordo ed a stento dà retta alle sferzate della frusta”.
Queste tendenze antitetiche dell’uomo, così descritte da Platone sono state rappresentate dal Veronese in una scena confusa in cui è praticamente impossibile distinguere chi, tra i personaggi a cavallo o a terra sia il vinto e chi il vincitore, capolavori di interpretazioni e di colori in una chiesa splendida, una delle tante meravigliose chiese veneziane.