Il l 27 dicembre di ogni anno iniziava ufficialmente il Carnervale nella Serenissima. Le autorità concedevano così il permesso di utilizzare la maschera….che non poteva essere indossata da persone armate e dalle prostitute.
Nel settecento quindi tutti i mesi invernali erano caratterizzati da feste in cui si pavoneggiavano e danzavano coppie con la bautta, deliziose damigelle con la moretta (o servetta muta, una maschera che lascisava liberi solo gli occhi, seguendo l’ovale del viso)) la classica Furlana o il minuetto, ed altre danze antiche, e queste immagini vennero immortalate dal grande Pietro Longhi e dal Francesco Guardi: “le maschere al ridotto”,” l’ippopotamo,” scene della vita gioiosa nei nobili, ma anche delle persone più umili. Non a caso, incontrandosi per le calli era buona educazione se non un dovere, salutare le persone mascherate con un: ossequi, Siora Maschera, o Servo suo, Siora Maschera. In genere questi scambi avvenivano tra persone ricoperte dalla bautta, creata dai maschereri prima con il gesso, poi con cartapesta, a completata dall’uso di un mantello: le bautte erano bianche o nere, e non avevano assolutamente espressione, ricoprendo il volto in modo inquietante…assolutamente imperscrutabile, e per la loro forma e la costruzione, modificavano anche la voce.
E’ facile quindi immaginare queste figure così indefinite, coperte dalla testa ai piedi (in genere veniva utilizzato il tricorno come copricapo sopra uno “zendale” , una sorta di sciarpa preziosa, che nel tempo divenne lo scialle per le donne)) aggirarsi per calli e campielli illuminati, si fa per dire, dalla luce dei lumini che rischiaravo gli stretti passaggi ) i” cesendali” che venivano accesi dai parroci di fronte alle immagini sacre, illuminando le rive, le callette strette e completamente immerse nel buio. Le coppie più abbienti si avvalevano dell’opera della codega, il portatore di lanterne che illuminavano il cammino ( da questo il modo di dire :reggere il moccolo). Altre coppie si appartavano nelle gondole, sotto il felze , a scambiarsi effusioni o consumando amori a volte illeciti, come narra Casanova, con monache che vivevano quella condizione come qualcosa di imposto e non sentito, o vivendo tradimenti o amori impossibili.
Ma la maschera più inquietante ed allusiva era quella della gnaga: camminando sui masegni, attraversando i ponticelli, entrando in un sottoportego si poteva incontrare questo strano essere : un muso da gatto, l’aspetto tozzo di un maschio con vesti femminili che reggeva un cesto carico di micini, che miagolava e sospirava frasi al limite dell’osceno invitando e provocando le bautte che la incrociavano…..espressione di uno dei disagi che venivano provocati nella Serenissima dall’omosessualità, mal sopportata dal Doge e dal Patriarca, che comunque a Venezia non veniva perseguita ma nemmeno accettata più di tanto.
Un altro personaggio mascherato poteva apparire e scomparire nel giro di un attimo: il berretto a sonagli a strisce variopinte, il tipico Jolli delle carte: il Matasin o Mataccino! E’, assieme a Pantalon dei Bisognosi, una delle più antiche maschere veneziane.
Bisogna immaginare questa Venezia, questo girovagare di persone che , come attori in uno scenario fiabesco, cercavano la propria collocazione e avventure, magari di una notte, in una eterogeneità di ceti…li dove la verità, con la semioscurità delle calli, a volte non illuminate dalla luce della luna, o avvolte nella nebbia (caligo) veniva vissuta appieno,,,in un erotismo carnale e forte….la bellezza di una Venezia tenebrosa, misteriosa e straordinaria.