Cassiodoro, il grande retore giunto da Ravenna, prefetto del Pretorio con Teodorico, quindi ministro durante il regno di Vitigine, nella celebre lettera inviata attorno al 537 ai tribuni marittimi di Venezia, ci da un’informazione sul cibo degli abitanti delle isole della Laguna.
Scrive infatti che che essi hanno un solo cibo che li nutre tutti, ricchi e poveri essi hanno abbondanza soltanto di pesce.
E aggiunge che se emulazione c’è tra quegli antichi veneziani essa sta nel lavoro delle saline. Infatti, invece di aratri e falci essi fanno girare cilindri che sono la fonte vera della ricchezza, perchè non tutti desiderano l’oro, scrive sempre Cassiodoro, ma non c’è alcuno che non desideri il sale, al quale si deve ogni cibo più gradito.
I Veneti sfuggirono alle invasioni barbariche, e dover assestarsi nel territtorio, creare basi città e civilità non dava troppo tempo per dedicarsi alla cucina, salvo essere i progenitori nella cottura delle seppie, in tecia con il loro nero, l’anguilla arrostita alla pietra ( bisato su l’ara) e le zuppe di molluschi, delle cape sante ( coquilles Saint Jaques per la gran cuisine) e le cape longhe o da deo.
Quanto agli ortaggi, elemento base della cucina discendente da quella dell’impero romano, si parla della lattuga romana.
Bisogna tuttavia arrivare al 1173 con la legge annonaria del Doge Sebastiano Ziani ( de edulis vendendis, et de ponderibus, et mensuris) che fissa il prezzo massimo delle vettovaglie , per trovare più precise notizie sul vino dei Veneziani ( 20 soldi al Barile) ed in particolare sula varietà degli alimenti ed il loro costo.
Nella legge Ziani viene menzionata, dopo secoli di pesce, anche la castradina, carne di castrato che serviva da cibo nelle navi veneziane., ed è il piatto tipico tradizionale per la festa della Madonna della Salute.
Il cibo dei Veneziani, scrive Pompeo Molmenti in “la Storia di Venezia nella vita privata”, pensando all’anno mille, oltre che carne di bove, di capretto, di maiale, era composto anche dalla cacciagione, come le anatra selvatiche ( osele) i masorini o germani reali, le folaghe, i chiurli, le cercedule, le arzagole: Erbaggi e frutta venivano coltivati e ricavati dagli orti delle isole dell’estuario, Sant’Erasmo ecc.
Ma il valore aggiuntio della cucina veneziana viene dalle spezie: dalla Siria e dall’Egitto fu importato, nel 966 lo zucchero, che divenne quasi un monopolio per i veneziani i quali raggiunsero sulla raffinatura un livello nettamente superiore a tutti gli altri importatori.
Non tardò quindi il perfezionamento della pasticceria, e le carte antiche parlano spesso di marzapane, zeli (zaletti) pignocade, codognade, storti, occhietti, spongade e specialmente di scalette, da cui deriva il nome di scaletteri (pasticceri).
A poco a poco, come dice Elio Zorzi in Osterie Veneziane, con l’accrescersi delle ricchezze , crebbero il lusso delle mense e la raffinatezza dei cibi.
Nel secolo XI la Principessa Teodora Ducas, figlia di Alessio, imperatore bizantino, sposa del doge Domenico Selvo ( o Silvio) aveva portato per prima l’uso della forchetta a Venezia. Essa non toccava cibo con le dita, ma lo faceva tagliare dagli Eununchi , e lo portava alla bocca con forchette d’oro.
E dal termine peirein, neogreco peironnion (infilzare) ecco che il nome della forchetta fu ” piron”.
Con i suoi mercati Venezia importò spezie che modificarono la cucina di tutta europa: nel 1000 erano famosi i sacchetti veneti, ripiendi di spezie aromatiche, come pepe, cannella, coriandolo, comino, chodi di garofano, noce moscata e macis.
Con calma potremo fare un exursus tra le varie ricette che si crearono nei secoli, a partire dal 1300, ricette ancora attuali e golose, che, chiunque voglia assaggiare in questa particolare e sublime città può farlo con calma, visitando le varie osterie, bacari e trattorie.